Sicily

Molte, e spesso antichissime, sono le selezioni di Plumeria ben diffuse e popolari in Sicilia. Una tradizione ormai secolare, che prende fermamente posto nel costume siciliano, affondando le sue radici nella storia della società isolana.
Ecco una lista (in aggiornamento) di alcune selezioni siciliane di Plumeria. Cliccare sui nomi per vedere i dettagli.

Le fasce costiere di Palermo, Catania, Trapani e Messina, nonchè il borgo di Riposto (detto "Città della Plumeria"), sono, ad oggi, fra le aree siciliane più palesemente caratterizzate dalla presenza di grandi alberi del genere Plumeria, a causa del loro clima costiero così ospitale per le piante tropicali, ma probabilmente anche per via dei loro antichi porti, ampiamente sfruttati dai mercanti inglesi di fine Settecento. Sulle coste della Sicilia, a quei tempi, si snodavano infatti fittissimi traffici commerciali fra la Sicilia, l'Inghilterra e l'America!

Ma come e quando ebbe inizio, realmente, la storia d'amore fra la Sicilia e i fiori di Plumeria?

L'importanza storica e culturale di Plumeria in Sicilia risale con ogni probabilità agli interessi economici esercitati sull'Isola da diverse famiglie di imprenditori inglesi, fra le quali le più famose furono Woodhouse, Ingham, Whitaker e Gibbs, che a partire dall'ultimo decennio del Settecento vi si insediarono stabilmente per affari di commercio internazionale, appoggiandosi a innumerevoli porti minori, nonché ad alcuni più grandi, fra i quali quelli di Messina e di Palermo, per lo scambio continuo di merci  fra Inghilterra, Sicilia e America.

Si esportava dalla Sicilia, verso America e Inghilterra, soprattutto il pregiato vino lavorato a Marsala; ma anche zolfo, stracci, olio d'oliva e sommacco, mentre l'Inghilterra inviava tessuti, ferro, rame, stagno e carbone. Oltre a spedire le merci oggetto delle loro attività commerciali di famiglia, gli imprenditori inglesi offrivano servizi di trasporto mercantile, interconnettendo di fatto i commercianti siciliani, inglesi e americani.

Si noti che il celebre vino di Marsala fece la fortuna dapprima di John Woodhouse, poi di Benjamin Ingham e di suo nipote John Whitaker, passando infine alle mani della famiglia siciliana Florio, che diede il nome ad uno dei più celebri "Marsala" mai prodotti. Vi era pertanto un fitto scambio sia economico che culturale fra il mondo rurale e contadino siciliano e la nobiltà inglese, con le sue eleganti ed esclusive coltivazioni esotiche ornamentali.

Le agiatissime famiglie inglesi si spostavano dalla loro patria, portando con sé ciò che gli occorreva per garantirsi uno stile di vita degno del loro alto rango. Ciò portò, collateralmente, all'inevitabile conseguenza di una progressiva diffusione di diverse colture tropicali ornamentali anche sull'isola. Questo processo proseguì dalla fine del Settecento, rendendo sempre più popolari le piante esotiche in Sicilia, ma ancora in un contesto selezionato ed elitario.
Un tassello interessante in tal proposito è costituito da un fugace ma significativo indizio riportato nel 1904, dopo più di un secolo dall'inizio delle attività commerciali stanziali dei Whitaker, dal giardiniere capo dell'Orto Botanico di Palermo, Vincenzo Riccobono: nell'elencare i più accreditati coltivatori di Plumeria suoi contemporanei, egli menzionò un certo Commendatore Ignazio Florio, nonché un altro commendatore di Palermo, di nome... Giuseppe Whitaker!!!

Eppure, sebbene probabilmente le prime plumerie fiorissero al sole delle zone costiere di Palermo, Catania e Messina già dalla fine del Settecento, la prima testimonianza scritta da mani siciliane a tal riguardo risale ad oltre un secolo dopo, quando nel 1821 Giovanni Gussone redasse il catalogo delle piante coltivate presso l'Orto botanico di Boccadifalco, seguito nel 1827 da Vincenzo Tineo, redattore del catalogo dell'Orto Botanico di Palermo. In entrambi i cataloghi si indicava nero su bianco la presenza di piante del genere Plumeria in coltivazione nei due orti botanici!

Quando, nel 1904, il capo giardiniere dell'Orto Botanico di Palermo Vincenzo Riccobono redasse una piccola pubblicazione sulle piante del genere Plumeria coltivate presso l'Orto Botanico del quale si occupava, erano ormai presenti in collezione ben quindici diverse selezioni!


I dati in suo possesso non potevano che essere modesti: il genere Plumeria era stato descritto per la prima volta da Joseph Pitton de Tournefort nel 1735, intitolandolo al suo maestro, il grande botanico Charles Plumier; di lì a breve, nel 1751, Carolus Linnaeus accettò il genere proposto da Tournefort e già nel 1753 lo pubblicò nella sua opera Species Plantarum, definendone tre unità tassonomiche valide nel 1754: Plumeria alba, Plumeria obtusa e Plumeria rubra.

Nel 1904, non erano stati ancora indagati a fondo i margini di variabilità dei caratteri di Plumeria rubra, fra i quali per esempio il colore dei fiori, la forma delle foglie e la pubescenza dei fusti.
Pertanto, i diversi autori avevano proposto diverse classificazioni basandosi su tali caratteri. Vediamo chi furono gli autori delle unità tassonomiche riportate da Riccobono nel 1904:

Carolus Linnaeus:
  • Plumeria alba (nome valido);
  • Plumeria obtusa (nome valido);
  • Plumeria rubra (nome valido).
Jean Louis Marie Poiret:
  • Plumeria acutifolia (sinonimo non valido di P. rubra).
Hipólito Ruiz López e José Antonio Pavón Jiménez:
  • Plumeria bicolor (sinonimo non valido di P. rubra);
  • Plumeria lutea (sinonimo non valido di P. rubra);
  • Plumeria incarnata (sinonimo non valido di P. rubra);
  • Plumeria tricolor (sinonimo non valido di P. rubra);
  • Plumeria purpurea (sinonimo non valido di P. rubra).
Guglielmo Gasparrini:
  • Plumeria hypoleuca (sinonimo non valido di P. obtusa);
  • Plumeria hypoleuca var. angustifolia (sinonimo non valido di P. inodora).
Joseph Dalton Hooker:
  • Plumeria jamesoni (sinonimo non valido di P. rubra).
Hortus Pansiaticus:
  • Plumeria rosea (sinonimo non valido di P. rubra).
Vincenzo Riccobono:
  • Plumeria acutifolia var. terraccianoi (sinonimo non valido di P. rubra);
  • Plumeria rosea var. angustiloba (sinonimo non valido di P. rubra);
  • Plumeria tricolor var. bortiana (sinonimo non valido di P. rubra);
  • Plumeria tricolor var. supiniana (sinonimo non valido di P. rubra).

Di tutti i nomi tassonomici riportati nella pubblicazione del capo giardiniere, quindi, gli unici validi si rivelarono essere quelli proposti da Linnaeus; tutti i nomi rimanenti rientrano in Plumeria rubra, eccetto Plumeria hypoleuca (sinonimo non valido di P. obtusa) e Plumeria hypoleuca var. angustifolia (sinonimo non valido di Plumeria inodora).
In particolare, anche le quattro nuove unità tassonomiche proposte da Vincenzo Riccobono erano state vane.
Sette anni dopo, nel 1911, lo stesso Riccobono pubblicava sul primo fascicolo del sedicesimo volume del Bullettino della R. Società Toscana di Orticultura un singolare trafiletto dal titolo: "Il genere Plumeria e suo possibile adattamento nel Settentrione d'Italia", nel quale decantava le grandi doti dei bouquet di Plumeria, che potevano essere recisi e spediti per arrivare intatti a destinazione nel continente;
descriveva i progressi in coltivazione nella sua Sicilia e in particolare a Palermo, dove curava personalmente gli esemplari dell'Orto Botanico, citando anche alcune collezioni private di sua conoscenza. Non si capacitava di come gli Orti Botanici dello Stivale, con i loro pregevolisimi cataloghi, fossero ancora del tutto privi di piante del genere Plumeria. Proponeva quindi anche ai lettori del bollettino toscano di cimentarsi nella coltivazione di Plumeria, auspicandone un possibile adattamento al ben più freddo clima del Nord Italia!

Venendo ai giorni nostri, a distanza di oltre un secolo dalle vicende botaniche dell'appassionatissimo Riccobono, l'assortimento delle antiche plumerie riportate da Riccobono si è arricchito di molte altre selezioni più recenti, entrate anch'esse a far parte della tradizione siciliana; ma è sorprendente che i nomi raccolti nel libercolo del giardiniere siano rimasti in voga localmente, fra i coltivatori amatoriali palermitani, i quali affettuosamente continuano ancora oggi ad usare per le loro "pomelie" (nome dialettale palermitano per indicare le plumerie) quei nomi specifici non validi, così come riportati sul catalogo del loro Orto botanico nei primi del  Novecento.

Oggi, però, con la sempre crescente accessibilità di vacanze in luoghi esotici e, soprattutto, con l'avvento di Internet, una moltitudine di nuove selezioni di Plumeria (soprattutto Plumeria rubra e, in misura minore, Plumeria obtusa) invade a gran velocità il mercato globale, arricchendo rapidamente e le collezioni di qualsiasi terra idonea alla coltivazione di piante tropicali... inclusa la Sicilia!
In questo quadro, molte talee di Plumeria di fama internazionale arrivano per posta da tutte le parti del mondo, corredate da altisonanti nomi e spesso registrate come cultivars ufficiali presso la Plumeria Society of America.

Le preziose piante esotiche arrivate nel Settecento dall'Inghilterra e cullate dal sole siciliano, un tempo tesori di nicchia, adesso sono oggetto di un commercio accessibile a tutti.
Ed ecco perchè le preziose,  antiche e amatissime plumerie siciliane, un tempo di immediata riconoscibilità in quanto ristrette a una modesta ma ben diversificata tavolozza cromatica, risultano oggi circondate, in ogni collezione, da migliaia di altre plumerie simili, appena sbarcate, con alle spalle storie e origini molto diverse. Il più ovvio rischio è che alcune delle antiche selezioni di Plumeria rubra, così importanti per la storia della Sicilia, possano perdersi nel marasma di un mercato vastissimo, andando perdute per sempre.

Nel corso degli ultimi anni (scrivo nel 2019), Giampietro Petiet di Sun Island Nursery ha man mano proposto dei nomi commerciali per queste selezioni, affinchè potessero circolare con un nome univoco che ne fissasse l'appartenenza territoriale.

Sebbene tecnicamente legittima, l'iniziativa del vivaista ha incontrato ben poco favore da parte del popolo degli appassionati siciliani, legati affettivamente all'uso degli antichi nomi tradizionali, così come roportati da Riccobono.

8 commenti:

  1. Al di là della corretta definizione tassonomica, non vedo la necessità di sostituire i nomi storici con altri che non hanno nulla a che vedere con la nostra cultura.

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  2. Cosa diversa sarebbe stata, se invece di procedere unilateralmente, attraverso un'azienda privata
    registrare presso la PSA piante patrimonio di tutti con una condivisione aperta e libera di associazioni del territorio e liberi cultori delle plumerie utilizzando i nomi di estrazione della cultura popolare senza mettere in mezzo regine senza corone ed inutili iperbolici nomi anglofoni. In questo modo non si è fatto che svendere la tradizione centenaria di così belle cose e fiori che invece dovrebbe essere patrimonio della Sicilia tutta e non di quel vivaio piuttosto di un altro.

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  3. Concordo pienamente con Maurizio Caputo. Sono piante patrimonio comune e non di qualcuno, specialmente di aziende private.

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  4. Si tratta di regole legate alla tassonomia (per i vecchi nomi specifici respinti, quindi NON accettabili), nonché agli appositi standard mondiali per il genere Plumeria (per i nomi delle selezioni). L'importante è mantenere sempre delle descrizioni che ricolleghino i vecchi nomi, non validi, a quelli che verranno registrati. Il proposito di questa pagina è proprio supportare la memoria storica disponibile su queste piante, lasciando nero su bianco le omonimie e i vari "aka". Per qualsiasi contrarietà, rivolgetevi alla comunità scientifica, non a me: le regole di nomenclatura botanica non sono frutto della mia fantasia e quando qualcuno FINALMENTE avvia una procedura di registrazione, come ha fatto Giampietro Petiet di recente, non si può che prenderne atto. Nessuno ha mai mosso un dito. Ora che qualcuno si muove, tutti buoni a dire la propria. Come i vecchi davanti ai cantieri...

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  5. Una simile operazione, trattandosi proprio di piante, oggi alberi, per la maggior parte dell'Orto Botanico di Palermo, non inteso come proprietario materiale ma come luogo dove sicuramente sono arrivate prima di diffondersi altrove, necessitava forse di qualche passaggio preliminare, e sicuramente ed eticamente parlando, visto il malumore generato ovunque, anche di un passo indietro, seguito semmai dell'apertura di un confronto, costruttivo, e volto alla registrazione delle stesse, anche da parte del proponente che ne ha avrebbe attivato la procedura.E' il modus operandi che si contesta, fatto quasi di nascosto, oltre che l'attribuzione di nomi che allontanano qualsiasi carattere distintivo di "sicilianità", e non è sicuramente il Trinacria anteposto al nome a conferirglielo. Io non posso che disapprovare quello che ritengo solo un atto arrogante e presuntuoso nei confronti di una intera comunità che manifesta il proprio disappunto, io, avrei "tirato i remi in barca", atto sicuramente più apprezzabile.

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  6. Visto il tenore delle osservazioni che leggo, in qualità di curatore di questo sito ci tengo a precisare che i nomi "commerciali" che ho riportato in calce alla pagina, notoriamente avanzati dal proprietario di un vivaio specializzato, non sono espressione della mia volontà, nè ne caldeggio l'utilizzo. La mia volontà è anzi tracciare per bene tutte le omonimie del caso, per far sì che le nostre amate plumerie siciliane continuino ad essere identificate con i nomi popolarmente in uso a Palermo, i quali, per quanto tecnicamente siano errati, costituiscono parte integrante della storia popolare di queste piante.

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